Friedrich Wilhelm Nietzsche
(filosofo tedesco, 1844-1900)
Vien detto spirito libero colui che pensa
in modo diverso da come ci si aspetterebbe in base alle sue origini, al
suo ambiente, al suo ceto sociale e al suo ufficio, o in base alle
opinioni dominanti.
Egli è l’eccezione, gli spiriti vincolati sono la regola; questi gli
rimproverano che i suoi liberi principi derivano dalla smania di farsi
notare, o addirittura che lasciano supporre azioni libere, azioni cioè
incompatibili con la morale vincolata. Talvolta si dice altresì che
questi o quei liberi principi siano da ricondurre a stravaganza o a
ipertensione della mente; ma così parla solo la cattiveria, che non
crede essa stessa a quanto dice ma pure vuole, in tal modo, nuocere:
poiché la testimonianza della maggiore bontà e acutezza d’intelletto
dello spirito libero gli sta normalmente scritta in viso, così
leggibile che gli spiriti vincolati la capiscono benissimo.
Poiché consapevole della complessità delle motivazioni e della
molteplicità dei punti di vista è avverso a ogni fanatismo di chi
pretende possedere la verità assoluta, e cioè dell’uomo delle
convinzioni, che è esponente dell’età arretrata dell’innocenza
teoretica.
Scegliere la libertà dello spirito comporta dunque abbandonare
costantemente i nostri ideali, diventando traditori e commettendo
infedeltà, (”per aver giurato fedeltà, forse a un essere del tutto
immaginario come un dio, per aver dato il proprio cuore a un principe,
a un partito, a una donna, a un ordine sacerdotale, a un artista, a un
pensatore, in uno stato di cieca illusione che ci rapiva e ci faceva
apparire quegli esseri come degni di ogni venerazione, di ogni
sacrificio, si è ora indissolubilmente vincolati? Anzi, non abbiamo
allora ingannato noi stessi? Non era quella una promessa ipotetica, con
la seppur tacita presupposizione che quegli esseri, ai quali ci
consacravamo, fossero realmente come apparivano alla nostra
immaginazione? Siamo tenuti a restar fedeli ai nostri errori, anche
rendendoci conto che con questa fedeltà danneggiamo il nostro io
superiore? – No, non esiste nessuna legge, nessun dovere di questo
tipo; noi dobbiamo diventare traditori, commettere infedeltà,
sacrificare di continuo i nostri ideali”), e rinunciare senza rammarico
e senza risentimento, a quasi tutto quello che ha importanza agli occhi
degli altri per un sollevarsi libero e senza paura al di sopra di
uomini, costumi, leggi e tradizionali valutazioni delle cose che
consenta di superare i limiti dell’individualità comprendendo e vivendo
in sé l’intera coscienza dell’umanità.
Lo spirito libero assume come obiettivo della propria vita la
“conoscenza”. Disprezza perciò l’attivismo dell’uomo contemporaneo,
dominato dal capriccio di passioni mutevoli e prigioniero di
convinzioni dogmatiche; sono forse i vantaggi dei nostri tempi a portar
con sé una diminuzione, e talora una sottovalutazione, della vita
contemplativa. All’uomo attivo manca il tempo per pensare e la calma
nel pensare; non si prendono più in considerazione quelle idee che
esulano dalla norma: ci si limita a odiarle. Nell’enorme acceleramento
della vita, occhio e spirito si abituano a vedere e a giudicare a metà
o in modo errato, e ognuno assomiglia a quei viaggiatori che fan la
conoscenza di un paese o di un popolo dal treno. Agli uomini attivi di
solito fa difetto l’attività più alta: voglio dire quella individuale.
Essi sono attivi come funzionari, commercianti, dotti, cioè come esseri
generici, non come uomini affatto determinati, singoli, unici; sotto
questo punto di vista sono pigri. E’ la disgrazia degli attivi, il
fatto che la loro attività sia quasi sempre un po’ insensata. Non si
può ad esempio chiedere, al banchiere che ammucchia denaro, lo scopo di
quella sua incessante attività: essa è insensata. Gli attivi rotolano
come rotola la pietra, con meccanica stupidità. Tutti gli uomini si
dividono, in ogni tempo e anche oggi, in schiavi e liberi: chi,
infatti, non ha per sé i due terzi della sua giornata, è uno schiavo,
qualunque cosa sia politico, commerciante, funzionario, dotto.
Su ogni cosa sulla quale sia possibile avere opinioni, ciascuno debba
possedere un’opinione propria, in quanto egli stesso è qualcosa di
particolare e di irrepetibile, che assume, rispetto a tutte le altre
cose, una posizione nuova e mai esistita prima. Ma la pigrizia che
giace in fondo all’anima dell’uomo attivo gli impedisce di macinar la
farina del suo sacco.
La libertà da ogni certezza illusoria, acquisita mediante il sapere,
condanna lo spirito libero alla solitudine, ma non alla tristezza e
all’infelicità.
Si allontana dunque dall’uomo attivo, e vive totalmente assorto in una
solitudine da cui sa attingere letizia intellettuale.
La solitudine renderà nobile la sua anima, e cioè capace non tanto di
voli alti, quanto di vivere in un ambiente ricco di purezza,
moderazione, mitezza, carattere, apportatore di felicità e irradiante
felicità; gli consentirà di sperimentare una gioia nutrita da
grandezza, calma, solarità, qualità intellettuali provenienti da
pensieri che elevano, tranquillizzano e illuminano; e di procedere,
nella ricerca della filosofia del mattino, con una passo lieve, quasi
senza rumore, fiducioso e spedito, mentre la luce del sole gioca nel
suo profondo.
Accortezza degli spiriti liberi.
Uomini di sentimenti liberi, che vivono solo della conoscenza, si
troveranno presto ad aver raggiunto lo scopo esteriore della loro vita,
la posizione definitiva nei confronti della società e dello Stato, e si
sentiranno ad esempio ben soddisfatti di una piccola carica o di una
sostanza che basti appunto a vivere; infatti essi regoleranno la
propria esistenza in modo che nessun grande mutamento dei beni esterni
né alcun sovvertimento dell’ordine politico possano coinvolgere la loro
vita. In tutte queste cose essi spendono la minore energia possibile,
per potersi immergere, con tutta la forza così risparmiata, e per cosi
dire con un lungo respiro, nell’elemento del conoscere. Così possono
sperare di immergersi in profondità e di guardare anche sul fondo. Di
un avvenimento, un tale spirito prenderà solo un lembo: non ama le cose
in tutta l’ampiezza e prolissità delle loro pieghe, poiché non vuole
lasciarsene coinvolgere.
Anch’egli conosce i giorni feriali della mancanza di libertà, della
dipendenza, dell’asservimento. Ma di tempo in tempo deve giungere anche
per lui una domenica di libertà, altrimenti non sopporterà la vita. E
possibile che anche il suo amore per gli uomini sia cauto e di breve
respiro, perché egli vuole abbandonarsi al mondo delle inclinazioni e
della cecità solo quel tanto necessario al fine della conoscenza.
Deve confidare che il genio della giustizia dirà qualcosa a favore del
suo discepolo e protetto, se voci accusatrici dovessero chiamarlo privo
d’amore.
C’è, nel suo modo di vivere e di pensare, un raffinato eroismo, che
disdegna di offrirsi alla grande ammirazione delle masse, come fa il
suo più rozzo fratello e suole andare silenzioso per il mondo e via dal
mondo.
Quali che siano i labirinti che attraversa, gli scogli tra i quali si è
talvolta tormentato il suo corso, se torna alla luce prosegue chiaro,
lieve e quasi senza rumore per la sua via, e lascia che la luce del
sole giochi sin nel suo profondo.
Avanti.
Con ciò, avanti sulla strada della saggezza, di buon passo e con
fiducia! Comunque tu sia, servi a te stesso come fonte di esperienza!
Sbarazzati del malcontento sul tuo essere, perdonati il tuo io, giacché
in ogni caso hai in te una scala dai cento gradini, sulla quale puoi
salire verso la conoscenza.
L’epoca in cui con rincrescimento ti senti precipitato, ti chiama beato
per questa fortuna; ti grida che sarai ancora partecipe di esperienze
alle quali uomini di epoche più tarde dovranno forse rinunciare.
Non disprezzare di essere stato ancora religioso; valuta appieno quale
genuino accesso tu abbia ancora avuto all’arte.
Forte appunto di queste esperienze, non puoi tu percorrere con maggior
consapevolezza enormi tratti del cammino dell’umanità passata? Non sono
forse cresciuti proprio su quel terreno che a volte tanto ti spiace,
sul terreno del pensiero impuro, molti dei frutti più splendidi della
vecchia cultura? Non si può diventar saggi, se non abbiamo amato arte e
religione come madre e nutrice. Ma si deve guardare al di là di esse,
sapersene svezzare; se si rimane in loro balia, non le si può
comprendere. Così pure ti debbono essere familiari la storia e il cauto
gioco con i piatti della bilancia: “da una parte – dall’altra”.
Torna indietro, calcando le orme sulle quali l’umanità fece il suo
grande, doloroso cammino nel deserto del passato: così apprenderai nel
modo più sicuro in quale direzione l’umanità futura non dovrà o non
potrà più andare.
E mentre con tutte le tue forze vorrai spiare in anticipo in quale nodo
il futuro sarà ancora annodato, la tua vita acquisterà valore di
strumento e mezzo per la conoscenza. E’ in mano tua far sì che tutto
quel che hai vissuto: tentativi, vie false, errori, illusioni,
passione, amore e speranza, si dissolvano nel tuo fine senza resti.
Questo fine è di diventare tu stesso una necessaria catena di anelli
della cultura, e di concludere da questa necessità alla necessità del
cammino della cultura universale.
Quando il tuo sguardo sarà divenuto forte abbastanza da vedere il fondo
dell’oscuro pozzo del tuo essere e delle tue conoscenze, allora forse,
nel suo specchio, per te saranno visibili anche le lontane
costellazioni delle culture di domani. Credi che una vita simile, con
uno scopo simile, sia troppo faticosa e priva di vantaggi? Allora non
hai ancora imparato che non esiste miele più dolce della conoscenza, e
che le nubi minacciose della desolazione dovranno esser per te la
mammella da cui mungere latte per il tuo ristoro. Solo quando sarà
sopraggiunta la vecchiaia capirai veramente come tu abbia ascoltato la
voce della natura, di quella natura che per mezzo del piacere domina il
mondo: la stessa vita che ha il suo culmine nella vecchiaia, ha il suo
culmine anche nella saggezza, in quel mite splendore solare di una
costante letizia dello spirito: l’una e l’altra, vecchiaia e saggezza,
tu le incontri su un solo versante della vita: così ha voluto la natura.
Allora è tempo, né c’è motivo di adontarsene, che si avvicini la nebbia della morte.
Verso la luce – il tuo ultimo movimento; un giubilo della conoscenza – il tuo ultimo grido.
Il viandante.
Chi sia giunto anche solo relativamente alla libertà della ragione,
sulla terra non può sentirsi altro che un viandante, anche se non un
viaggiatore diretto verso un’ultima meta, che non c’è.
Ma egli ben vuole guardare, e tener gli occhi aperti su tutto quel che
veramente accade nel mondo; per questo non gli è consentito unire
troppo strettamente il suo cuore a nessuna cosa particolare; deve
esserci in lui stesso qualcosa di nomade, che gioisca del mutamento e
della provvisorietà.
Certo, per un tale uomo giungeranno cattive notti, in cui sarà stanco e
troverà chiusa la porta della città che dovrebbe offrirgli riposo; e
forse, oltre a ciò, il deserto giungerà sino a quella porta, come in
Oriente, e gli animali da preda urleranno ora lontano ora vicino, e si
leverà un forte vento, e i ladri gli ruberanno le bestie da tiro.
Allora la notte terribile calerà per lui sul deserto come un secondo
deserto, e il suo cuore sarà stanco di peregrinare.
Ma quando si leverà il sole del mattino, rosseggiante come una divinità
della collera, la città si aprirà, e nel volto degli abitanti egli
vedrà forse ancor più deserto, sporcizia, inganno, insicurezza che
davanti alle porte – e il giorno sarà quasi peggiore della notte.
Questo potrà ben succedere una volta al viandante; ma poi giungeranno a
ricompensarlo i gioiosi mattini di altri paesi e di altri giorni, in
cui già nel grigiore della luce egli vedrà passar danzando accanto a
sé, nella nebbia dei monti, gli sciami delle Muse, e in cui poi, quando
silenzioso, nell’armonia mattutina dell’anima, egli passeggerà sotto
gli alberi, dalle vette e dai recessi delle fronde gli cadranno intorno
solo cose belle e chiare, dono di tutti quegli spiriti liberi che
stanno sul monte, nel bosco e nella solitudine e che, come lui, nel
loro modo ora gioioso ora meditabondo, sono viandanti e filosofi.
Nati dai misteri dell’alba, essi meditano come mai il giorno possa
avere, tra il decimo e il dodicesimo tocco, un volto così puro, così
trasparente, così serenamente radioso: essi cercano la filosofia del
mattino.
Il viandante sui monti a se stesso.
Ci sono segni sicuri del fatto che sei andato più avanti e più in alto:
intorno a te c’è più spazio e la prospettiva è più ampia di prima, ti
investe un’aria più fresca, ma anche più mite – infatti hai disimparato
la stoltezza di scambiare mitezza e calore, il tuo passo si è fatto più
vivace e fermo, coraggio e avvedutezza sono cresciuti insieme: e per
tutti questi motivi la tua strada potrà ora essere più solitaria, e in
ogni caso più pericolosa di prima, benché, certo, non nella misura in
cui credono coloro che ti vedono salire viandante dalla valle nebbiosa
verso il monte.
Tratto da: http://cubasia.mioblog.net
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